Cariddi – la nave traghetto FS che visse due volte

Il 16 agosto 2023 ricorre l’80° anniversario dell’affondamento della famosa nave traghetto Cariddi. Una delle pagine più tristi e meno note della marineria mercantile italiana. Ripercorriamo in questo articolo la storia di questa bellissima nave traghetto FS che dal marzo 2006 giace semiaffondata in prossimità del porto di Messina, nelle acque antistanti “il serpentone della Caronte”.

Varata a Trieste nel 1932 presso i Cantieri Navali Riuniti dell’Adriatico la nave Cariddi è stata una delle prime unità della flotta FS all’epoca in servizio nello Stretto ad essere dotata di motori diesel-elettrici (i primi del genere nella marina mercantile italiana) e propulsione ed elica al posto delle pale rotanti azionate da propulsori a vapore.

La sua forma d’origine (vedi foto) era diversa da quella che ricordiamo, innanzitutto per la presenza di un solo fumaiolo, poi per il diverso aspetto di tutta la zona di prua (completamente aperta), per la presenza di tre binari anziché quattro e per la lunghezza decisamente più corta (di circa 11 metri).

Quando entrò in servizio la nave rappresentò una vera e propria rivoluzione nel panorama dei trasporti passeggeri e ferroviari sullo Stretto, aumentando notevolmente la capacità di carico, la frequenza dei collegamenti tra le due sponde Calabrese e Siciliana e il confort dei passeggeri che vi soggiornavano. Insieme alla unità “gemella” Scilla, di poco più anziana, la Cariddi divenne subito l’ammiraglia della flotta FS d’anteguerra; ad essa fu affidato il traghettamento dei convogli viaggiatori più prestigiosi.

Nell’estate del 1943 la nave fu protagonista di una incredibile vicenda. Le truppe alleate anglo-americane erano ormai alle porte di Messina quando la Regia Marina ordinò l’autoaffondamento della nave per non lasciarla a disposizione delle forze alleate. Così, il 16 agosto di quell’anno la Cariddi ancora carica di materiale bellico tedesco da trasbordare sulla Penisola, fu condotta in prossimità della rada Paradiso, qui furono aperte le “prese-mare” per allagare i locali sottocoperta e fare affondare la nave. Il traghetto però resistette fiero all’allagamento e, per farlo andar giù, fu necessario ricorrere all’esplosivo procurando una falla a bordo. Ciò accelerò l’affondamento della nave ma, purtroppo, anche il suo capovolgimento.

La Cariddi si ritrovò quindi adagiata, capovolta, su un fondale di circa 20 metri e così rimase per circa sei anni. Concluse le operazioni belliche, tra il 1946 e il 1948, la nave, ancora immersa, fu liberata dai palombari dal materiale bellico che la zavorrava e di tutte le sovrastrutture. Successivamente, nel 1949, visto l’incremento della richiesta di trasporto attraverso lo Stretto di Messina e considerato che non erano ancora pronti i traghetti ordinati dalle FS per rilanciare il servizio tra Messina, Villa San Giovanni e Reggio Calabria, l’amministrazione FS decise di recuperare la nave, incaricando a tal fine la ditta Weigert di Messina.

Le operazioni di recupero del relitto (era ormai rimasto il solo scafo capovolto) si svolsero il 21 luglio 1949 utilizzando 6 cilindri stabilizzatori vincolati alla nave dai palombari, riempiti d’aria per riportarlo a galla. A testa in giù il traghetto fu rimorchiato nel porto di Messina. Dopo alcuni mesi con la nave ormeggiata capovolta in prossimità del porto del capoluogo peloritano, il 21 dicembre 1949 ebbe finalmente luogo l’operazione di ribaltamento dello scafo.

A Messina, il relitto fu sottoposto ad interventi di ripulitura, manutenzione e al recupero di tutte le apparecchiature e i materiali riutilizzabili in fase di ricostruzione. Le condizioni dello scafo si rivelarono più che soddisfacenti: non vi erano rilevanti deformazioni delle lamiere o lacerazioni ad esclusione di uno squarcio a prora, sul lato di dritta, al di sopra della linea di galleggiamento, verosimilmente prodottosi in occasione dell’autoaffondamento.

La ricostruzione della nave fu commissionata alla Società Cantieri del Tirreno di Genova, la quale, tuttavia, non disponendo né del bacino di Palermo, impegnato per lungo tempo in altri importanti lavori, né di quelli di Genova per ragioni di indole economica, propose di tagliare la nave in due tronconi da collocare su uno degli scali del Cantiere di Riva Trigoso, in prossimità di La Spezia, da allineare e poi ricongiungere.

La Cariddi fu quindi rimorchiata fino a La Spezia dove, il 9 dicembre 1951, fu tagliata in due parti presso uno dei bacini dell’arsenale della Marina Militare. I due tronconi dello scafo furono poi rimorchiati a Riva Trigoso, dove il primo (tronco prodiero) fu alato sullo scalo n° 3 del Cantiere il 14 dicembre 1951 ed il secondo sullo stesso scalo, in proseguimento del primo, il 19 dicembre 1951. Fu a quell’epoca che nacque l’idea di approfittare del taglio della nave per aumentarne la lunghezza di circa 11 metri, sufficienti per maggiorare la lunghezza del fascio dei binari in misura tale da consentire un aumento della capacità di carico da 32 a 36 carri merci di tipo “F”, interponendo fra i due tronconi, opportunamente distanziati dopo l’allineamento, una terza sezione lunga 11 metri (quella con il secondo fumaiolo). I binari diventarono quattro, furono installati nuovi motori e la parte di prua fu modificata in modo tale da creare sopra il ponte binari una piattaforma per il trasporto di autoveicoli. Si approfittò dei lavori anche per dotare la nave di un castello prodiero (caratterizzato dai due portelloni a rotazione mossi da motori elettrici) e prolungare il ponte di passeggiata creando una piattaforma capace di ospitare 15 autovetture, ciò per far fronte al continuo aumento degli automezzi che richiedevano il passaggio attraverso lo Stretto di Messina.

La Cariddi acquisì così l’aspetto che l’ha contraddistinta fino alla fine dei suoi giorni, fatte salve alcune modifiche intervenute negli anni ’60 (tra cui la modifiche del tracciato dei binari per consentire il passaggio delle vetture passeggeri lunghe circa 26 metri) e nei primi anni ’80 (installazione nuovi motori Diesel a 4 tempi). Il secondo varo fu celebrato il 20 ottobre 1953 alla presenza del Ministro dei Trasporti, del Direttore Generale delle F.S. e di altre autorità e personalità (vedi foto).

Subito dopo la nave fu rimorchiata a Genova nel cui porto il giorno successivo fu sottoposta alla regolamentare prova di stabilità. I risultati furono soddisfacenti, così, dal 25 ottobre all’8 novembre furono imbarcati sulla nave combustibili, lubrificanti, dotazioni, provviste e fu eseguita la messa a punto di tutti i macchinari principali ed ausiliari. Dal 16 al 18 novembre 1953 la nave effettuò prove ufficiali in mare con funzionamento continuo di tutti i macchinari per oltre 54 ore. Ultimate le prove, la nave rientrò nel porto di Genova dove, nei giorni successivi, furono completati alcuni particolari di allestimento e di pitturazione.  

Il 24 novembre 1953 la nave levò le ancore per affrontare il viaggio di ritorno nelle acque dello Stretto dove giunse il successivo 27 novembre accolto – secondo quanto raccontano le cronache del tempo – con grandi festeggiamenti ed una memorabile partecipazione popolare.

La Cariddi riprese servizio il 30 dicembre 1953, poco più di dieci anni dopo il suo autoaffondamento, e per 38 anni (fino al 1991) ha assicurato il traghettamento dei più prestigiosi convogli ferroviari e di autovetture tra le sponde siciliane e calabresi con solerzia, fierezza ed eleganza. Proprio nel 1991 le FS posero in disarmo la nave e, nel 1992, la vendettero alla Provincia Regionale di Messina per l’irrisoria cifra di 250 milioni delle vecchie Lire. L’anno successivo, 1993, la Soprintendenza per i Beni Culturali della Regione Sicilia dichiarò la nave bene d’interesse storico ed etno-antropologico particolarmente rilevante: l’idea iniziale era quella di farne un museo del mare, galleggiante, monumento alla cultura marinara tra le due sponde dello Stretto.

Una volta acquistata, sempre secondo quanto riportato dalle cronache locali, nacquero per la Provincia Regionale di Messina alcune difficoltà di gestione della nave, che portarono, via via, alla sospensione dei servizi di guardiania e manutenzione ordinaria. Abbandonata al proprio destino ormeggiata al molo Norimberga del porto di Messina, per diversi anni la Cariddi è stata vittima, a volte di piccoli furti e, altre volte, di veri e propri saccheggi, rifugio di gente senza dimora, registrando anche un principio di incendio che ne danneggiò alcuni dei suoi eleganti saloni.

Nessuno sapeva cosa fare di questa nave. Talvolta le cronache locali hanno riferito di manifestazioni di interesse all’utilizzo della nave presentate da persone o enti, ma nessuna di queste manifestazioni si concretizzò, vuoi per un motivo vuoi per un altro. Per esigenze di spazio all’interno della zona falcata del porto di Messina e per sottrarla (forse) alle continue “attenzioni” di persone senza scrupoli, la nave fu spostata appena fuori dal porto di Messina in prossimità degli approdi dei traghetti delle compagnie private di navigazione.

L’epilogo era ormai inevitabile, quella collocazione era troppo esposta alle intemperie ed ai marosi. Così, il 14 marzo 2006 la Cariddi ha “mollato” e si è lentamente adagiata sul fondale inclinandosi sul proprio fianco sinistro.   L’affondamento suscitò un’iniziale scalpore a Messina. Seguirono puntuali le polemiche del giorno dopo e quelle delle settimane immediatamente successive, le ordinanze di rimozione del relitto da parte della locale Capitaneria di Porto, i rimpalli di responsabilità, l’apertura di un fascicolo d’inchiesta da parte della Magistratura, ma tutto ciò non portò a nulla di più di qualche articolo di cronaca sulla locale testata giornalistica.

La Cariddi giace ancora là, affondata, con la sua poppa semi-affiorante, in prossimità del “Serpentone della Caronte”. Oggi è meta di pochi escursionisti subacquei, a perenne ricordo di un’ennesima storia tutta messinese, gestita male e finita peggio.